Stanca del controllo governativo sull’economia, minacciata sempre più gravemente dalla politicizzazione delle masse, la borghesia impose quasi la fine del ‘Terrore’ e il ripristino della libertà di produzione e di scambio.
I deputati della Palude, che costituivano la maggioranza dell’Assemblea, preoccupati per se stessi e per le loro ricchezze (troppo spesso disonestamente accumulate), congiurarono per sbarazzarsi di Robespierre, accusandolo in una drammatica seduta (9 termidoro dell’anno III: 27 luglio 1794) di volersi fare tiranno della Francia (cosa che effettivamente stava avvenendo, a ben guardare). La Comune parigina, le sezioni popolari, i Sanculotti, reagirono fiaccamente contro la minaccia di una restaurazione borghese: non capirono che la caduta del Comitato di salute pubblica avrebbe trascinato nella rovina tutto il movimento democratico.
Robespierre non era riuscito a saldare la sua azione con gli infimi ceti, con le aspirazioni dei contadini senza terra e coi lavoratori delle botteghe artigiane. Scoperto a sinistra con la liquidazione degli Hébertisti, egli non poté sostenersi di fronte all’attacco borghese. La sera stessa del 10 termidoro fu ghigliottinato senza alcun processo insieme a ventidue dei suoi più stretti collaboratori, tra i quali Augustin, suo fratello, e il fedelissimo Saint-Just. Settantacinque deputati girondini, che Robespierre aveva salvato dal patibolo il 2 giugno 1793, furono riammessi nella Convenzione, mentre i deputati giacobini, risparmiati dalla ghigliottina, furono proscritti. Al “Terrore rosso” seguì il “Terrore bianco”, promosso dalla cosiddetta ‘gioventù dorata’, che si scatenò contro i Giacobini, assalì i loro clubs, moltiplicando i massacri specie nelle province. Nel giro di pochi mesi fu abolito il calmiere e ripristinata la libertà dei commerci, ma il valore degli assegnati crollò e l’inflazione si impennò con gravissime conseguenze per i ceti popolari.